Giovanni Fusco: musicista compositore per film e cinema  
 
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Giovanni Fusco: musicista compositore per film e cinema - La Vita - biografia
"La musica è la luce, l’anima del film."
- Giovanni Fusco -
biografia
 

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Giovanni Fusco: musicista compositore per film e cinema - La Vita - biografiaGIOVANNI FUSCO
S. Agata dei Goti (Benevento) 10 ottobre 1906 Roma 31 maggio 1968

Compositore, pianista e direttore d’orchestra.
Musicista eclettico e di talento, ha scritto circa trecento composizioni, tra opere teatrali, musica da camera, di genere sacro e soprattutto colonne sonore per lungometraggi, cortometraggi e documentari.

Fin dai primi anni ha vissuto in un’atmosfera musicale. Nato in una famiglia numerosa da Carlo Fusco (di S. Agata dei Goti) e Maria Teresa Folena (di Lucca), era l’ultimo di sette fratelli, quattro dei quali apprezzati musicisti. Lorenzo, il primo dei fratelli, famoso tenore, compagno di studi di Beniamino Gigli, ha fatto compagnia con Ettore Petrolini. Lorenzo, detto Enzo, è stato un grande interprete della lirica partenopea e della famosa canzone patriottica come “La leggenda del Piave”; autore anche della famosissima “Dicite‘ncello vuje”. Tarcisio, compositore, pianista e direttore d’orchestra, si è dedicato alla rivista ed è stato uno dei primi musicisti a dedicarsi ai rapporti tra la musica ed il cinema dirigendo orchestre durante la proiezione dei film muti. Infine Antonio e Romeo rispettivamente violinista e percussionista.

Al fanciullo Giovanni fu familiare sin dall’infanzia la musica in voga a quei tempi, dal gusto popolare degli spettacoli di rivista, alla canzone lirica.

All’età di sei anni, il padre lo porta a Roma, dalla Campania, per permettergli di studiare. Questa decisione è stata decisiva per la sua formazione, gli ha permesso di mettere a frutto la sua geniale e innata musicalità, con  studi regolari presso il Liceo Musicale di S. Cecilia dove ha studiato pianoforte sotto la guida di P. Boccaccini. Da allora, Roma, fu la sua città d’adozione, dove studiò, lavorò e visse tutta la vita. Qui, a soli nove anni, seguendo l’esempio del fratello, si esibisce come pianista per l’accompagnamento dei film muti, alla Sala Regia di Via Cola di Rienzo e al Cinema Corso, guadagnando dieci lire a sera. Erano cinematografi importati che potevano permettersi anche un’orchestra, ma nell’ora di cena gli orchestrali facevano intervallo e un ragazzo, coi calzoni a mezza gamba, commentava da solo col pianoforte le immagini. Questa esperienza decisiva, diventa la prima palestra di sperimentazione e formazione che lo porterà in seguito, a trovare quella perfetta fusione col visivo, conservando l’integrità del discorso musicale secondo la sua logica costruttiva, anzi aggiornandolo e completandolo con gli apporti più diversi tanto da farlo, in seguito, considerare un «personaggio determinante» nel panorama della musica per film. Inoltre faceva parte, insieme a Goffredo Petrassi ed Ennio Francia, dei cantori di San Salvatore in Lauro.

Dopo lo studio del pianoforte in cui si è diplomato brillantemente, la sua formazione prosegue presso l’Accademia di Santa Cecilia dove studia organo con Fernando Germani, composizione con Riccardo Storti e Alfredo Casella e direzione d’orchestra con Bernardino Molinari. Nel 1931 si diploma in composizione al Conservatorio di Pesaro e nel  1942 in direzione d’orchestra al Conservatorio Santa Cecilia di Roma. Con Alfredo Casella ha perfezionato anche lo studio del pianoforte, studio condiviso con Adriana Dante, pianista e inseparabile compagna della sua vita.

Giovanni Fusco: musicista compositore per film e cinema - La Vita - biografiaNegli anni della giovinezza di Fusco, nel periodo compreso tra le due guerre, la scena musicale italiana stava vivendo un acceso movimento di riforma ad opera soprattutto dalla “generazione dell’ottanta”, composta da Respighi, Pizzetti, Casella, Malipiero, e da un certo numero d’autori minori. Casella fu certamente il portabandiera di questo moto di rinnovamento che mirava alla sprovincializzazione  della cultura musicale italiana, nel tentativo di inserirla nel dibattito europeo. Casella riassumeva in se tutte le doti del compositore, del teorico e del pianista, che aveva ben percepito più dei suoi colleghi, che la trasformazione delle modalità esistenziali delle collettività umane modificavano anche i modi e i generi della loro percezione sensoriale. L’incontro, per Fusco, con questa grande personalità artistica è stato prezioso, sia nell’acquisizione delle premesse teoriche sulla natura del musicista, fatta di umile e consapevole artigianalità, anche se di “un artigianato superiore” come i grandi del Rinascimento, cosciente della sua funzione, sia nell’apertura verso il nuovo, verso un mondo che cambiava velocemente e che lo porta senza timore a percorrere con audacia tutte le esperienze e tutte le sperimentazioni. Del maestro Fusco saprà, soprattutto, far proprio il coraggio e la perizia nel riprendere gli stili altrui, mantenendo inalterata nelle forme una chiara plasticità delle figurazioni musicali, un’iconicità profonda, giocando fra soluzioni politonali, pulsazioni ritmiche e ritmi sottratti dai generi musicali più disparati  come il Fox-Trott,  il Jazz e la “musica di consumo” che fino a quel tempo erano stati osteggiati dagli ambienti accademici fino ad arrivare alle sperimentazioni elettroniche.

L’attività del compositore inizia secondo i canoni prefissati da questa professione, componendo opere teatrali, musica sacra, sinfonica e da camera. A partire dai primi anni ’30, si dedicò alla composizione,  iniziando con un poema sinfonico ispirato alla Gerusalemme liberata.
Nel 1934 comincia a redigere la partitura dell’opera teatrale in tre atti di Luigi Chiarelli, La scala di seta, su libretto di Mario Casalino. Dalla stessa opera, nel 1938 fu tratto il pezzo sinfonico Balletto, trasmesso dall’EIAR, per il quale ebbe diversi contratti.
Nel 1938 ha musicato Via Nuvola 33, una commedia musicale basata sul libretto di Enrico Bassano e Dario Martini.
Del 1941, su commissione della RAI, è l’Oratorio Sacro La cantata profetica, per soli, coro e orchestra, su testo di Ennio Francia ricavato dal Salmo 83, è stato registrato al foro Italico e trasmesso dalla radio nel 1955 sotto la direzione dell’autore. Di seguito viene, L’ultimo venuto, commedia in musica in un atto di Dario Martini commissionata nuovamente dalla RAI e della quale si è fatta anche una registrazione diretta da Bruno Maderna.

Giovanni Fusco: musicista compositore per film e cinema - La Vita - biografiaNell’immediato dopoguerra, il Maestro Fusco ha fatto molte apparizioni come direttore d’orchestra in concerti di musiche contemporanee dedicandosi anche all’esecuzione di pezzi jazzistici presso i circoli americani. In ciò era facilitato da un’impressionante facilità di lettura a prima vista che dimostrava spesso nelle serate tra amici musicisti, quando si esibiva per tutti in letture a prima vista di partiture fresche di stampa di Stokausen o di Stravinskij. A partire da questo periodo, sono da ricordare altre opere importanti come la Sonata a due per violino e violoncello, la Suite americana per orchestra, la Sonata a tre per violino, flauto e clarinetto, il Salmo 112 per 4 voci soliste 2 chitarre e batteria jazz dedicato a Goffredo Petrassi, la Suite per otto strumenti, dal film “Hiroshima mon amour”, la Fantasia da concerto per violino ed archi, il Piccolo concerto per clarinetto e orchestra, il Tam tam degli animali per voci infantili e 5 strumenti, la Canzone dell’uccellaio per basso e orchestra, la Sinfonia italiana per orchestra, e l’inedito balletto, “La rapina”, su soggetto di Michelangelo Antonioni, commissionato dal Teatro alla Scala nel 1965 e mai eseguito per l’improvvisa scomparsa del maestro. “La rapina” è il ritratto degli abitanti di una borgata alla periferia di una città dove i protagonisti del balletto si relazionano con repentine liti e grida: “che compaiono all’improvviso come all’improvviso finiscono”. Anche in questo balletto la musica si sarebbe fatta carico dell’espressione intima, profondamente plastica di ogni realtà rappresentata, da quella oggettiva a quella ineffabile dei personaggi coinvolti. 

La sua attività prevalente che lo ha impegnato maggiormente è stata la composizione di musiche per film.
Nel 1930 abbiamo l’avvento del sonoro nel cinema italiano con La canzone d’amore di Gennaro Righelli, con la collaborazione musicale di Cesare Andrea Bixio. A soli 6 anni da questo avvenimento, Fusco inizia a dedicarsi alla musica per film musicando la colonna sonora de Il cammino degli eroi, un documentario di Corrado D’Errico, dove compaiono per la prima volta elementi di rottura e di opposizione all’antica atmosfera “dei telefoni bianchi”. Vale la pena citare tra gli altri, anche il lungometraggio Joe il rosso di Raffaele Matarazzo, La contessa di Parma di Alessandro Blasetti, Pazza di gioia di C. L. Bragaglia e Questi ragazzi di Mario Mattoli, registi tra i più significativi del primo decennio del Cinema sonoro italiano.
Per questi lavori non era ancora necessario l’apporto di un vero musicista creatore, eppure si potevano già notare i prodromi di quegli elementi che sarebbero poi diventati i peculiari caratteri musicali della natura innovatrice di Giovanni Fusco, come l’uso dei ballabili, di strumenti popolari e l’inserimento di musiche intradiegetiche.
Numerose sono le consulenze e gli apporti musicali che Fusco in questi anni offrì alle pellicole di tipiche commedie del genere dei “telefoni bianchi”, componendo, arrangiando e rifacendo le colonne sonore originali di film stranieri, come “Duello al sole”.

La poetica di Fusco, ancor nella fase del suo apprendistato, già evidenziava quegli aspetti stilistico-formali e una sintassi linguistico-musicale, che sarà codificata nell’età più matura e che si può sintetizzare come segue:

  1. Eclettismo, riscontrabile nella varietà delle esperienze compositive, le più diverse tra loro, vissute e portate a compimento dal nostro compositore che vanno poi a confluire nella sua occupazione principale, la musica per film. Ha frequentato gli ambiti della «musica leggera» scrivendo «canzoni d’autore» come la Ballata del suicidio su testo di Pier Paolo Pasolini per lo spettacolo di Laura Betti, Giro a vuoto, in cui poche note frammentarie, sono accompagnate da un ostinato ritmico del pianoforte alla mano sinistra. Si è esercitato nella cosiddetta, «musica di consumo», quei ballabili tanto in voga negli anni cinquanta e che ritroviamo largamente impiegati anche nelle sue colonne sonore, Fox-Trot, Surf, Twist, Slow. Ha collaborato, inoltre, alla realizzazione di programmi radiofonici ed alla creazione di spot pubblicitari. Si è dedicato alla direzione d’orchestra preferendo il repertorio contemporaneo ma risalendo anche fino ad esperienze bachiane.
  2. Essenzialità, scarnificazione dell’orchestra e strumentazione varia, sobria, ridotta, appunto, all’essenziale con impasti sonori, a volte inconsueti, di pochi strumenti e con la presenza, spesso, di strumenti popolari: in Cronaca di un amore usa due sassofoni e un pianoforte; ne I vinti, assolo di strumenti ad arco; ne La signora senza camelie, cinque sassofoni e un pianoforte; ne Le amiche, due chitarre e un pianoforte; ne L’avventura, un piccolo ensemble di legni; ne L’eclisse, ottoni e un pianoforte; in Deserto rosso, la voce, il canto e la musica elettronica; ne Gli sbandati, c’è un uso del tutto moderno degli archi; ne I delfini, «canzonette», tra cui What a sky, chitarre e pianoforte solo; ne Gli indifferenti, tromba sola, archi e pianoforte; in Hiroshima, mon amour, flauto, ottavino, pianoforte, clarinetto, viola, corno inglese, contrabbasso e chitarra. L’uso che egli fa di questi strumenti è spesso forzato al di là delle loro predisposizioni naturali. Si vengono, così, ad alterare il timbro e i registri fino a renderli quasi dei nuovi strumenti. Esempio tipico di questo modus operandi è l’uso percussivo di strumenti normalmente melodici come il pianoforte.
  3. «Aforismo musicale», l’impiego del frammento a sfavore del «tematismo tradizionale hollywoodiano» con l’uso dell’ostinato in funzione «lietmotivica» (dove il leitmotiv è inteso in senso strettamente wagneriano come elevazione degli avvenimenti alla sfera dei significati metafisici) oltre che ritmica. Questa modalità di composizione gli permette di «atomizzare» gli interventi senza interrompere il discorso musicale, mantenendo, così, una sorta di continuità, e gli lascia la possibilità di creare di volta in volta, improvvisazioni molto significative e di riprendere in qualsiasi momento il discorso interrotto.
  4. «Economia semantico-espressiva», La musica di Fusco non «visualizza» o sottolinea le immagini, come avveniva nella tradizione, ma crea l’atmosfera, come una luce illumina o meno un ambiente mettendone in risalto il significato intrinseco di l‡ dall’apparenza formale; non è descrittiva, non identifica le situazioni, ma evoca degli stati d’animo, è la voce interiore, o se vogliamo, una sorta di inserto psicologico, ci dice quello che altrimenti non riusciremmo a sentire; «assolve la funzione di rafforzare emotivamente e di accompagnare il processo del discorso interiore». Generalmente «la pretesa di rendere la musica discreta si traduce non in analogia col rumore, ma in banalità» nel caso particolare Fusco riesce a rendere gli elementi extramusicali dei «precipitati» della musica stessa così come quest’ultima può divenire altro da se rendendosi simbolo e archetipo «anima sonora» dell’opera e del messaggio che il regista vuole trasmettere. Un esempio tipico, forse il più riuscito di tutte le colonne sonore create per Antonioni, è quello de L’avventura, in cui i rumori, i suoni, sono assunti, elaborati e integrati con la musica creando un suggestivo apporto al dramma antonioniano.
  5. Contrappunto, pur utilizzando il sistema tonale e recuperando gli stilemi dell’età classica la musica di Fusco riesce ad essere moderna ed attuale. Egli prende i modelli e le forme e li decontestualizza, trasformandoli in archetipi, per poi ricontestualizzarli nel suo linguaggio e nel suo stile. All’aspetto verticale e armonico preferisce quello orizzontale, melodico e polifonico con molte voci che contrappuntano. Emancipa e scarnifica le aggregazioni accordali fino a renderle suono puro, «colore» e facendo anche un largo uso della dissonanza. Non a caso gli autori che predilige e da cui trae notevoli spunti compositivi sono: Frescobaldi, Bach, Pergolesi, Bartók e Stravinskij.

Giovanni Fusco: musicista compositore per film e cinema - La Vita - biografiaNell’immediato dopoguerra, il documentario diventa il mezzo più immediato che la nuova generazione, stimolata dalla forza degli eventi, ha per dimostrare la loro opposizione e distruggere definitivamente quell’atmosfera idilliaca e in stridente contrasto con il nuovo corso della vita dei “telefoni bianchi”. Già nel 1942, il documentario, Comacchio, del regista Fernando Cerchio, che reca le musiche di Fusco, è prodromo di questo senso di disagio con l’indugiare lento e inesorabile dei ritmi nel loro fondersi e confondersi nell’alternanza del contrasto del bianco e del nero, che si svilupperà più chiaramente, sempre attraverso il documentario, con altri registi nell’immediato dopoguerra. È in questo periodo che la figura di Giovanni Fusco si manifesta in tutte le sue potenzialità, non solo come musicista di provata esperienza, dotato di quella fresca attitudine al cambiamento che lo pone come miglior collaboratore e sicuro riferimento per le  nuove generazioni, ma anche di mecenate. Fusco fu attivo anche nel mondo dell’imprenditoria. Fondò, assieme a Venturini e a Messeri, la FILMS, una società di produzione specializzata in documentari, che aveva anche l’ambizione di creare e produrre “film musicali”, intento quest’ultimo che poi sarà disatteso. Questa idea fu ripresa una decina d’anni dopo, quando istituì la CINELIRICA con la quale realizzò i film musicali “Lajo nell’imbarazzo” di G. Donizetti, “La traviata” di G. Verdi e “La Rita“ di Donizetti. Oltre alla revisione delle partiture, che curava personalmente, in taluni casi firmava anche la regia sotto lo pseudonimo di Vasco Ugo Finni, oppure di Jhon Welman, quest’ultimo coniato da Carlo Belli, scrittore e caporedattore del Tempo. Era un mezzo straordinario che il maestro mise a disposizione alle giovani generazioni di cantanti e di registi e che gli consentì, con il suo incoraggiamento, di tenere a battesimo i più promettenti cineasti del panorama cinematografico italiano, a cominciare da Michelangelo Antonioni.
Il prolifico incontro con Michelangelo Antonioni è dell’anno 1948 che vede la loro collaborazione per il documentario del regista N.U., Nettezza urbana ambientato per le vie di Roma di cui il maestro è anche produttore. Fusco ha già firmato più di 40 colonne sonore fra documentari e lungometraggi ma l’incontro con Antonioni è decisivo nella sua carriera. Accanto ad un autore colto, rigoroso e dotato di un fine gusto musicale Fusco è spronato a considerare il cinema come la palestra capace di ridestare in lui l’antica consegna caselliana per impegnate fatiche di natura creativa atte a trasformare il carattere della composizione di musica per film da lavoro artigianale ad impegno artistico dotato di un suo autonomo valore.
Quello di Antonioni e Fusco non è stato solo un sodalizio artistico, una collaborazione fra artisti, è stato soprattutto un incontro intimo e sincero di amicizia assidua fatta di incontri giornalieri, di stima, di felici intuizioni e di scontri tra due personalità che, se pur tanto diverse, percepivano uno nell’altro la possibilità concreta di realizzare le proprie convinzioni espressive.
Antonioni fu per Fusco lo stimolo ideale, quello che lo spinse ad una riflessione introspettiva e alla ricerca personale in materia di film; per Antonioni, Fusco rappresenta la sua idea di musica nel film, che consiste nel dissolvimento del linguaggio musicale pretestuoso nel tentativo di dilatare le gamme estreme del sentimento, fino a farlo diventare semplicemente una “voce”, che “mentre fa si tace”.
La realizzazione-interpretazione musicale di Fusco, delle idee di Antonioni, prosegue con i documentari, Superstizione, Sette canne e un vestito e L’amorosa menzogna del  1949. Nel 1950 con La villa dei mostri abbiamo l’ultima collaborazione per quanto concerne i documentari e la produzione del primo lungometraggio, Cronaca di un amore, il quale ha fatto guadagnare al compositore il Nastro d’argento per la miglior musica.
Lasciando da parte gli impasti consueti la musica fuschiana punta su singoli strumenti o su piccoli complessi più di carattere cameristico che sinfonico, in modo da definirne i timbri isolati, scarnificandoli progressivamente fino a trarne suoni puri ed essenziali, legandoli alle situazioni, alle atmosfere ed alla coscienza dei personaggi e della storia, fino a farveli aderire inestricabilmente.
Tutto ciò metteva Fusco, già rigoroso ed esigente con se stesso, nella condizione di avvalersi di strumentisti d’eccezione come il grande sassofonista francese Marcel Mule accompagnato al pianoforte da Armando Renzi per il pezzo per sax e pianoforte di Cronaca di un amore. Altro magistrale esempio è l’utilizzo di cinque sassofoni, il ’Quintetto di Parigi’, diretto da Mule, per La signora senza camelie  (1953), che suona come fosse un unico strumento.
Ne I Vinti (1952) l’ambiente fa da sfondo all’azione tanto da obbligare il regista a trattare differentemente, con il tramite della musica, la fotografia e la recitazione. Non a caso Fusco ricorre all’uso di strumenti di chiaro uso nazionale come il mandolino, il pianoforte e l’organetto in maniera del tutto inedita, anti-popolaresca. A partire da questo film, la musica, comincerà a tacere nei momenti più drammatici. Per, Le amiche (1955), il musicista ricerca e inventa nuove soluzioni armoniche caratterizzate da una solida eterogeneità ritmica mediate il contrappunto fra una chitarra (suonata da Libero Tosoni) e un pianoforte (suonato da Armando Trovaioli), con sprazzi di strumenti singoli.
La partitura del Grido (1957), scritta per pianoforte solo, è eseguita in maniera impareggiabile dalla pianista Lya De Barberis. La partitura si basa principalmente sull’elaborazione di due brani di diverso carattere. La sequenza variata di cinque temi (che rivelano una certa assonanza con i ritmi di Ravel e con le melodie delle sonate pianistiche di Chopin), sviluppata nella flebile alternanza di un Andantino sognante e malinconico, quasi scolastico, ed un Valzer moderato, più secco, dai caratteri leggermente stravolti. Entrambi i temi paiono arrivare dalla natura, dal fuori, dai campi, dagli argini, dalla nebbia di un paesaggio che è la proiezione tragica dei personaggi.
Ne l’Avventura (1960), il disegno architettonico del film, incentrato più sulla bellezza estetica delle immagini che sulla ricercatezza della parola, è ignorato dalla musica che diventa una sorta di metafisico linguaggio dell’anima.
La colonna sonora segue gli stati d’animo e le emozioni dei personaggi, grazie ad una partitura sottile e angosciosa dai timbri rarefatti e inconsueti, basati soprattutto su un concertino di legni e fiati diversamente combinati fra di loro. Trova spazio un’insolita orchestrina di mandolini e chitarre dove riecheggiano reminescenze jazzistiche, pop e del Bolero di Ravel. La musica passando di continuo nel vaglio della rarefazione, si riduce ad un lamento per diventare essenza dell’anima. Nastro d’argento per la migliore musica.
Nell’Eclisse (1962), il commento è fatto di frammenti sonori dissonanti dal sapore metallico che approda in un niente di concluso, di definitivo. Per questa partitura Fusco utilizza due interpreti d’eccezione: la cantante Mina, che esegue il twist che porta lo stesso titolo e il m° Franco Ferrara impegnato a dirigere le musiche del film.
In Deserto rosso (1964), la tendenza alla «meccanicità» della musica, alla sua astrazione, è portata ancora più avanti quando Antonioni chiama Gelmetti, il quale con frammenti tratti da sue composizioni continua, per così dire, la massiccia presenza sonora dei rumori delle raffinerie, delle macchine, delle navi all’ancora; gli oggetti hanno ancora una volta il sopravvento sui sentimenti. A ciò fa contrasto proprio l’intervento di Fusco, che consiste essenzialmente in una «canzone senza parole», un lungo vocalizzo per voce femminile (eseguito dalla figlia del compositore, il soprano Cecilia Fusco) che sostiene la sequenza della fiaba-sogno. Deserto rosso, insignito del Leone d’Oro alla XXV Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, è considerato, dalla critica cinematografica mondiale, tra i migliori film prodotti del Mondo. Con questo film finisce la collaborazione tra Antonioni e Fusco raro esempio d’osmosi creativa.

Giovanni Fusco: musicista compositore per film e cinema - La Vita - biografiaLa fama di Fusco si estende anche in campo internazionale, soprattutto, con due film di successo di Alain Resnais come Hiroshima mon amour (1959) e La guerre est finie (1966).
Per Hiroshima mon amour la musica di Fusco rifiuta di seguire la dialettica delle inquadrature, saltando a piè pari le preoccupazioni «narrative» e l’«ameublement». Una musica anti-realistica, dunque, che pure coglie pienamente e intimamente, nell’insieme, il significato di tutto il racconto e gli crea intorno un’indefinibile atmosfera, quasi una nenia seppure con una ammirevole «profondità psicologica». Solo otto strumenti, diretti da Fusco, sono serviti per creare il senso del presente, dell’eterno e del rifiuto a dimenticare nella dilatazione del tempo della memoria. Non ci sono temi riconoscibili ma frammenti, accenni melodici,  legati a nuclei psicologici, come l’oblio, il rapporto Nevers-Hiroshima e il presente. Film segnalato con il Premio Autori Cinematografici al Festival di Cannes. («Il mio entusiasmo per la vostra partitura non diminuisce. Ma, piuttosto, si rinforza ogni volta che l’ascolto. Resto stupefatto per la rapidità, quasi diabolica, con la quale siete riuscito a penetrare nel cuore del nostro film. Senza di voi, quest’ultimo, rischiava di non essere altro che un freddo manichino senza vita reale». Stralcio da una lettera di Alain Resnais a Giovanni Fusco datata 25 maggio 1959).
Nella Guerre est finie la soave essenzialità delle vicissitudini che interessano il protagonista sono vissute in chiave elegiaca ricreata, come per gli eroi antichi, dall’uso di voci in una specie di lamento virile.

La produzione straniera di Fusco non si esaurisce con Resnais ma tra gli altri vanno ricordati: Climats (Sensi inquieti) (1961) di Stellio Lorenzi, Dulcinea, incantesimo d’amore (1962) di Vicente Escriva, Rocambole (1963) di Bernard Borderie, Le parias de la gloire (1963) di Henri Decoin e L’aveau (postumo 1970) di Costi Costa-Gavras che ci mostrano ancora una volta la maturità e la singolarità del linguaggio fuschiano in cui si nota la sintesi estrema di un suono fatto da un piccolo organico nel tentativo di ottenere effetti di grande rilievo.
Con la Films di Giovanni Fusco Francesco Maselli realizza il suo primo documentario, Bagnaia, paese italiano, premiato a Venezia nel 1949, che inaugura la collaborazione del giovane regista con il nostro musicista. Ancora nel 1951, Maselli è al fianco di Fusco per realizzare una serie di documentari nel tentativo, riuscito, di riscrivere nel suo linguaggio quelli che furono gli insegnamenti ricevuti dai suoi maestri, Antonioni e Visconti: Niente va perduto (1951), Fioraie (1952), Festa a Positano (1952) e Bambini (1954). In ognuno di questi casi la musica di Fusco accompagna lo sguardo, distanziato e al tempo stesso partecipe, di Maselli senza cadere verso accenni di populismo o di sentimentalismo tipici di altri documentari. La collaborazione di Fusco con Maselli prosegue con quella che è stata definita, da Stefania Parigi, la trilogia della gioventù: Gli sbandati (1954), I delfini (1960), e Gli Indifferenti (1963) non a caso troviamo lo stesso stile di commento che diventa un ulteriore legame tra i tre film e che è poi tipico della maniera fuschiana e cioè, una musica che sia l’anima del personaggio, che ci racconti quello che il «personaggio, stesso, non ha il coraggio di mostrarci».
Un’altra collaborazione molto importante è quella con Damiano Damiani per il quale, Fusco ha curato le musiche de Il rossetto (1960), premiato al festival di San Sebastian, e, soprattutto, de Il giorno della civetta (1968) celebre lungometraggio che narra l’intrigante storia di mafia tratta dal romanzo di Leonardo Sciascia. Le musiche composte da Fusco per questo film restano, ancora oggi, una delle tracce più durevoli e ispirate della storia cinematografica del genere mafia tanto da fare scuola ed è infatti possibile trovarne dei perfetti rimandi in diversi compositori che si sono avvicinati allo stesso genere. La musica coglie, nell’intimo delle azioni, le dicotomie e i contrasti delle passioni e delle commistioni tragiche tra le arsure del paesaggio, i sapori della terra, forti e pungenti, impregnati di cultura e di arretratezza, di luce abbacinate e di freddezza dei cuori, in un clima mediterraneo dal chiaro influsso arabeggiante tinteggiato a tinte forti.

Vicino alle strutture rarefatte, aride, prive di una vita voluta nella sua pienezza dei film di Antonioni, è il commento di Il mare di Giuseppe Patroni-Griffi (1962), e, certamente, la musica «colta» e molto raffinata di Fusco è di molto superiore al valore dell’opera che «accompagna», ma forse sarebbe meglio dire che «conduce», non riuscendo, comunque, a nobilitarla o a riempirla nei vuoti della regia e della sceneggiatura.

Sempre a Fusco fecero ricorso anche i più impegnati fratelli Taviani, Paolo e Vittorio, in I fuorilegge del matrimonio (1963)  e nei Sovversivi (1967).

Molto bello e tipico di Fusco è il commento a La corruzione ( 1963) di Mauro Bolognini. Esso è iscritto fra l’esposizione iniziale e l’ossessiva affermazione finale di un ritmo di “hully-gully”.

Con tipici martellamenti ossessivi dell’ostinato fuschiano, che segnano il passare del tempo e gli stati d’animo dei personaggi, è il commento per L’Oro di Roma (1961), di Carlo Lizzani.

Assai interessante è la partitura per Violenza segreta (1963) di Giorgio Moser in cui Fusco non  si lascia distrarre dall’ambientazione africana del film rifiutando un esotismo scontato per sottolineare invece l’"occidentalità" della musica.

Giovanni Fusco era un vero protagonista del proprio tempo, ha dato il proprio apporto culturale in tutti i campi, dalle proprie competenze di celebrato compositore fino alle iniziative di carattere sociale come: la fondazione del sindacato dei compositori di musica per film assieme ai musicisti Piero Piccioni, Carlo Rustichelli e Armando Trovajoli; o la  collaborazione con il movimento di poeti, scrittori ed intellettuali che cercavano, verso la fine degli anni ’50,  di fornire testi e musiche alle canzoni di consumo, al fine di elevarne il livello qualitativo. La ballata del suicidio, su testo di Pier Paolo Pasolini, rappresenta una degli esempi più alti di questa collaborazione fra intellettuali e musicisti per dare alla canzone italiana i caratteri di “canzone d’autore”.

La collaborazione con Pasolini continua con la composizione della musica originale per il terzo episodio del film collettivo Amore e Rabbia intitolato Le sequenze del fiore di carta (1968) ispirato all’episodio evangelico “del fico innocente” con l’inserimento del twist ballato dal protagonista.

Il cinema, dal dopoguerra ad oggi,  grazie ad alcune personalità ispirate della letteratura, del cinema e della musica, strappato da quel luogo di visione accidentale accompagnata da suoni, compie quel salto di qualità verso una nuova autenticità estetica capace di presentarsi come un’esperienza percettiva e cognitiva complessa che permette la partecipazione di sensi autonomi, come l’occhio e l’orecchio, in una perfetta coincidenza delle due sfere sensoriali: l’audiovisione.
Molti, fra registi e musicisti, hanno capito che la traducibilità dell’immagine si attua in un corretto sincretismo fra la componente sonora e quella visiva, in cui la musica rafforza il non mostrabile, il non rivelabile, l’inesprimibile.
Fusco fu il primo che concretizzò i principi che la  nuova funzione semantica  della musica per film aveva posto. Musicista d’avanguardia senza essere però un dissacratore, sempre propenso e propositivo verso l’esperimento e la ricerca, pur rimanendo ancorato al sistema tonale e alle forme della tradizione europea, dall’esperienza dodecafonica seppe trarre la capacità di tradurre l’accento intimistico.
Sapeva assecondare ogni esigenza registica, anche la più pretenziosa come quella di Antonioni per il quale ha affermato di dimenticarsi di essere un compositore nella consapevolezza che il suo non era uno stato di subordinazione ma un tributo necessario al miglioramento della qualità della musica per film e aprirle, così, più vasti orizzonti espressivi. 
«Il film senza musica non si può fare. La musica è la luce, l’anima del film. E’ la voce del mistero racchiuso nella profondità dell’immagine» (Fusco). Se la musica cinematografica, a partire dagli anni Cinquanta, iniziò ad essere considerata una delle applicazioni più caratteristiche del nostro tempo, fu proprio grazie a personaggi come Fusco che la riscattò dal rifiuto in cui era stata confinata fin dagli albori del cinematografo perché creduta di minor valenza estetica e incapace di reggere a qualsiasi confronto con la produzione “classica”.
Per Giovanni Fusco il cinema è un’autentica vocazione esemplificata nella sua istintuale e segreta intuitività e nella sua immediata adattabilità inventiva che ha saputo restituire all’immagine la visione amplificata della mente.
«Il più anziano fra gli specialisti della musica per film, dall’aspetto bonario, grassottello, non troppo alto,  cordiale, dagli occhi celesti che mandano lampi, spesso taglienti dall’impalpabile ironia, a prima vista, più che un artista, poteva sembrare un professore, di quelli abitudinari, paciosi, filosofi per innata bonomia e per saggezza».

Al di là di queste descrizioni, fatte da critici che lo hanno intervistato e che sembrano dipingere l’immagine esteriore di un "uomo qualunque", c’è la scioccante meraviglia di trovarsi di fronte ad un genio della musica che ha insegnato, e ancora oggi insegna, che grandi capolavori potevano nascere anche senza troppa libertà, contrariamente a quanto si pensava nell’ambiente della “musica colta" dove il significato di libertà risentiva ancora di un’antica concezione romantica sulla creatività. Giovanni Fusco è stato un artista irrequieto e sempre propenso al nuovo, un artista “moderno” e di una impressionante attualità. Caposcuola del genere musica per film, non a caso è stato definito da Resnais “Un cineasta creatore”, un artista ancora da scoprire e malgrado la morte improvvisa avvenuta, in seguito ad un infarto, nella notte del 31 maggio del 1968,  una voce che non si è ancora spenta.

 
   
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